ComuniCulturaPrima pagina

Manu Chao, la musica come ricerca di sé

Sembra impossibile da credere, eppure per José-Manuel Thomas Arthur Chao, in arte semplicemente Ma-nu Chao, il successo internazionale arrivò tardi, dopo una lunghissima gavetta, parecchi chilometri macinati e tanta fame di scoprire il mondo.

Vita e opere
Nato a Parigi nel 1961, figlio di due esuli spagnoli fuggiti dalla dittatura del caudillo Francisco Fran-co, Manu crebbe nella zona suburbana della capitale francese, tra Boulogne-Billancourt e Sèvres, in una casa pittoresca e frequentata, dal momento che il padre (il giornalista galiziano Ramón Chao) ospitava molti rifugiati delle dittature sudamericane. Da questi, il giovane Chao poté ricavare esperienze artistiche dirette.
Pianoforte e chitarra furono i suoi primi amori: suona in famiglia col pa-dre e poi coi cugini, in complessi sempre più am-biziosi e noti nel vivace circuito alternativo parigino. Sperimenta fino all’esperienza della «Mano negra», vissuta tra alti e bassi dal 1987 al1994. Quando i compagni lo la-sciano, uno dopo l’altro, Manu si sfoga viaggiando alla ricerca delle proprie origini e di se stesso, prevalentemente in Spagna e in Sudamerica, completando così la sua formazione decisamente poco ortodossa: è proprio nel corso di questi anni on the road che prende corpo l’album «Clandestino» (1998), lavoro solista intorno al quale gravitano tanti artisti incontrati in Messico, in Brasile e in Argentina. Senza alcun battage promozionale, alla fine il disco (per molti critici il suo capolavoro) arriverà a vendere quattro milioni di copie.
Le sonorità più diverse vengono salvate e “conservate” attraverso un piccolo studio di registra- zione portatile, quasi co-me in un progetto di an-tropologia musicale, poi sublimato dalla stratificazione sonora e dai mille campionamenti del sa-piente produttore Rena-ud Letang. Lo spirito ri- belle, forgiatosi alla fine degli anni ’70 insieme alla sua passione per i «Cla-sh», lo porta a non tradire mai i propri principi: nonostante l’onda del successo, resta infatti la cultura della strada il suo orizzonte primario, quella strada che gli ha già dato tanto e che ha percorso fino alla gloria. All’inizio del 1999 iniziano a fioccare i riconoscimenti per il suo contributo alla world music, arrivano altri al-bum di successo ma intanto lui continua a “camminare” con la propria musica, partecipando a festival itineranti, tournée e concerti spesso gratuiti, come quando si esibisce davanti a centomila persone nel centro di Città del Messico per sostenere la causa zapatista e il subcomandante Marcos.
Poi la battaglia per la le-galizzazione delle droghe leggere, la causa no global, i diritti dei malati psichiatrici, senza mai scor- dare il dramma esistenziale dell’immigrazione clandestina, in cui si rispecchia per quella dispersione delle radici che ha vissuto fin da bambino, piccolo spagnolo a Parigi, e che non risolve neppure col successo, neppure do-po il successo. Questa crisi identitaria lo porterà qua-si alla depressione, fino alla scelta coerente di allontanarsi dal mainstream e di continuare a vagare per il mondo: confuso su se stesso, saldo invece sui propri principi.
Diventerà quindi, per una serie di ragioni e forse suo malgrado, il menestrello ufficiale della lotta alla globalizzazione che proprio a Genova avrà, il 21 luglio 2001, il suo epicentro mondiale.

Diventare un simbolo
Neanche lui sa esattamente come è diventato un simbolo politico. Forse perché parla e canta in cinque lingue, mescolando suoni e idiomi con disinvoltura, con testi nei quali il ribellismo è a volte generico ed edonista («Me gusta marijuana, me gu-sta colombiana», recita «Me gustas tu», il brano più suonato dell’album «…próxima estación… Esperanza»).
Etichettato come simbolo musicale della lotta alla globalizzazione, nonostan- te il fronte comprenda musicisti politicamente assai più ferrati come Bono degli U2 e Jova-notti, Manu Chao ha de-ciso di reggere il ruolo. E così eccolo accompagnare un disco tutto sommato disimpegnato ed esotico con dichiarazioni del tipo «A Genova io ci sarò, da privato cittadino, perché il meeting del G8 è un’occasione unica per dire no a tutti i potenti del mondo che non ci daranno altre occasioni per farlo». Era il luglio del 2001. E nel capoluogo ligure esplodeva la contestazione no global. Naif per carattere, eccolo alternare affermazioni barricadere («Loro hanno fatto un errore strategico: Genova è una città accessibile da ogni lato») ad altre che invitano alla moderazione («Cercheranno di dividerci fra quelli che vogliono parlare e quelli che vogliono usare le mo-lotov: non dobbiamo cadere in questa trappola»). Per Manu «le due anime del movimento devono unirsi sul fatto che il mondo va cambiato. Il come può essere deciso in un secondo tempo».
La filosofia di Manu Chao sta nell’essere uomo di musica e spettacolo senza il piglio del capopopolo. E come altri simboli della musica antagonista, non ha mai cercato questo ruolo. Piuttosto è diventato una bandiera dell’anticonformismo che offre un messaggio di gioia e di speranza.

Il libro e il ritorno
«Clandestino – Alla ricerca di Manu Chao», pubblicato nel 2021, è la prima biografia autorizzata di Manu Chao, scritta dal giornalista inglese Peter Culshaw che ha seguito Chao per cinque anni durante i suoi viaggi. Il libro non ripercorre solo la storia della «Mano negra», del Chao solista, dei suoi viaggi, delle collaborazioni, l’impegno sociale e le lotte politiche, racconta anche l’uomo e le vicende personali che hanno formato l’artista di oggi. Vengono svelati, infatti, retroscena politici, musicali e privati, come le richieste dell’allora ministro dell’Interno Scajola prima dei fatti di Genova, la rocambolesca genesi di «Clandestino», inciso inizialmente con arrangiamenti per musica elettronica, fino alla crisi profonda che ha messo in discussione anche l’esistenza stessa di Chao.

Il ritorno dopo il silenzio
Nel 2017, dopo quasi die-ci anni di silenzio, Manu Chao è tornato a pubblicare canzoni inedite, in download gratuito sul suo sito. Tra queste «No solo en China hay futuro» e «Words of truth» che richiamano il classico stile musicale dell’artista; altre sono invece frutto della collaborazione con il musicista Chalart 58.
Nel 2019 è invece uscito l’album «Clandestino/Blo-ody Border», ristampa fedele della celeberrima rac- colta del 1998 con l’aggiunta di tre brani inediti.