Triscina, le ruspe scaldano i motori

ABUSIVISMO. Nella borgata marinara ci sono 170 costruzioni da abbattere; la triade commissariale annuncia le demolizioni. Le case abusive della frazione di Triscina verranno demolite. Contro ogni previsione il capo della commissione che amministra il Comune dopo lo scioglimento, ha detto «sì». In una terra in cui ci si «annaca » tra condoni edilizi e sanatorie, soprattutto a ridosso delle elezioni, una decisione del genere assume toni aspri. Così, oltre 170 case, costruite soprattutto negli anni Settanta in una zona nella quale esiste il vincolo di inedificabilità assoluta (sorgono infatti entro i 150 metri dalla battigia), dovranno essere abbattute. Sono già otto le ordinanze di demolizione pronte, le cui spese saranno ovviamente a carico dei proprietari, anche se ad agire dovesse essere, come appare probabile, il Comune. La sanatoria infatti, per queste costruzioni non c’è stata, come invece era avvenuto per le altre cinquemila case che ne hanno, nel corso del tempo, usufruito. Il commissario Salvatore Caccamo, sebbene potesse trincerarsi dietro la “consueta” scusa della mancanza di fondi comunali per l’avvio dei lavori, o nascondersi al riparo delle pastoie burocratiche, pur di lavarsene le mani, ha aggirato il problema e ha chiesto di poter accedere al Fondo di rotazione nazionale per i comuni alle prese con il problema dell’abusivismo edilizio. Il fondo, istituito nel 2004, è quasi intatto. Nel caveau ci sono infatti a disposizione ancora 47 milioni di euro (sui 60 di partenza). Le demolizioni non vengono fatte con piacere. E ovviamente “l’eccesso di zelo” della commissione straordinaria non lascia felici molti cittadini. Alle 170 case (di cui due sole sono «prime abitazioni», mentre le altre costituiscono case di villeggiatura estiva), si aggiunge un numero non ancora definito di immobili per i quali l’istanza di sanatoria è stata rigettata, e altri per cui è ancora in corso un procedimento giudiziario a causa dei ricorsi dei proprietari. Il Comune di Castelvetrano, tramite i commissari, avrebbe quindi chiesto un prestito da tre milioni di euro. Con tale somma sarà possibile procedere agli studi di fattibilità, alla progettazione e a tutte le opere propedeutiche alla demolizione dei manufatti abusivi ed al successivo smaltimento in discarica dei detriti. Oltre al costo della demolizioni, ai proprietari inadempienti toccherà sobbarcarsi la sanzione, che nei casi più gravi può anche arrivare a ventimila euro. In caso di inottemperanza all’ingiunzione a demolire opere abusive impartita dall’amministrazione comunale, il dirigente dell’ufficio tecnico o il funzionario responsabile preposto, deve infatti irrogare al soggetto che non vi dia esecuzione, una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra duemila e ventimila euro (la misura massima si applica in presenza di vincoli quali quello di inedificabilità assoluta o di zona a rischio di dissesto idrogeologico). Rischi anche per i burocrati: la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce infatti elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile. Caccamo pare aver quindi fatto suo l’appello lanciato qualche mese fa dal procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, che aveva invitato i comuni a mettere da parte il lassismo che li ha contraddistinti e ad intervenire per il ripristino della legalità. Perché che vi sia una violazione delle norme non c’è dubbio, dal momento che le regole sono chiare: i proprietari di immobili abusivi hanno novanta giorni di tempo per demolire i fabbricati costruiti senza autorizzazione, altrimenti subentra il Comune, che interviene in via sostitutiva e, dopo, manda il conto al proprietario inadempiente. Prima, però, deve utilizzare somme del proprio bilancio (quindi soldi della collettività), oppure, se non li ha, come è il caso di quasi tutti gli enti in difficoltà economiche, chiedere appunto il prestito al Fondo per le demolizioni, nel quale sono confluiti cinquanta milioni dalla Cassa depositi e prestiti e dieci (a fondo perduto) dal Ministero dell’Ambiente. Una volta superato l’ostacolo delle risorse economiche, ciò che sarebbe mancata, come ha denunciato recentemente anche il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, è stata la volontà politica. Agostina Marchese