L’impianto a biomasse? Non s’ha da fare
Aquanto ammonta la percentuale di materie prime importate in Italia? Quali sono le normative europee sulla gestione dei rifiuti? Quali sono gli effetti sulla salute di un inceneritore? Quali le alternative per lo smaltimento dei rifiuti? Qual è l’attuale situazione sulla gestione della spazzatura a livello provinciale e regionale? Questi ed altri quesiti sono stati posti nel corso di una conferenza sui rifiuti in provincia organizzata dal comitato «No gassificatore-inceneritore ». Il 19 febbraio, nella sala della biblioteca comunale, numerosi sono stati gli esperti a confronto, tra i quali Eugenio Cottone (di Legambiente Sicilia); Massimo Fundarò (presidente dell’associazione «Ecò»), Enzo Favoino (del comitato scientifico di «Rifiuti zero»), Enzo Novara (funzionario della Srr «Trapani sud»), Aurelio Angelini (docente di Sociologia dell’ambiente); Valentina Palmeri e Giampiero Trizzino (parlamentari del M5s componenti della commissione Ambiente dell’Ars); don Giovanni Mucaria (rettore del Santuario del Giubino). Uno dei punti focali del dibattito, la mancanza di pianificazione da parte dei vari governi siciliani che si sono succeduti negli ultimi anni, mancanza che non soltanto porta da tempo gli enti territoriali ad agire in emergenza, con gravi conseguenze igienicosanitarie, ma che finisce per vessare i cittadini sul piano economico, costringendoli a pagare in bolletta costi di smaltimento straordinari: in ultimo, a causa della mancanza di impianti di trattamento e per via del preventivato trasferimento dei rifiuti all’estero. Tra i temi affrontati non poteva mancare quello relativo all’impianto a biomasse che da tempo “surriscalda” gli animi dei cittadini calatafimesi e non solo e che ha portato alla nascita del relativo comitato. L’impianto, come è stato ribadito da numerosi relatori, sarebbe, di fatto, un inceneritore. Un impianto, come ha sottolineato Eugenio Cottone, per il quale è stata avviata «una procedura completamente illegittima, priva dei requisiti di garanzia», sul quale è stata fatta una analisi superficiale per poi scoprire che «supera di quattro volte la soglia minima prevista dalla formula europea». Come ha spiegato Enzo Favoino, presidente del comitato «Rifiuti zero», un impianto camuffato, nel quale non è «la digestione anaerobica il problema, ma la fase di gassificazione del digestato, il quale viene presentato come un produttore di energia ma che in realtà si disperde». Non è mancata la disamina sui fallimenti della gassificazione, non soltanto sul piano economico ma anche su quello organizzativo. L’obiettivo europeo (ma anche sul piano del buonsenso) è quello di creare una economia circolare, tendente al riciclo dei materiali primi, di cui oggi il 60 per cento viene importato dagli altri paesi europei ed extraeuropei. Materie che vanno, e che possono essere recuperate, in vista di una progressiva diminuzione delle risorse a livello mondiale, che presto non saranno sufficienti per tutti, ma anche per un risparmio economico. Oggi i rifiuti, sia in discarica che negli inceneritori, vengono invece distrutti. «L’obiettivo minimo – ha sottolineato Favoino – del 65 per cento, imposto dall’Unione europea, non è un omaggio alla nostra coscienza ambientalista, ma è una massimizzazione del riuso. Non bisogna quindi indietreggiare di un passo, poiché tali impianti vanno spenti e tassati». Conciso Massimo Fundarò, che ha fatto una disamina sulle contraddizioni proprie dell’impianto e di chi a suo dire sarebbe stato colto con le «mani nella marmellata ». Dubbi e contraddizioni che emergono anche sul piano dei presunti risparmi. Agostina Marchese