La terra trema ancora, è psicosi terremoto

EVENTI SISMICI. Nove scosse (di lieve entità) nel giro di pochi giorni fanno scattare l’allarme. Nove scosse nel giro di poche settimane. Contenute per ciò che concerne la magnitudo (ossia l’energia sprigionata), tra 1 e 3 gradi Richter (1.3 la minima, 2.8 la massima), ma avvertite dalla popolazione, specialmente quella del pomeriggio di domenica 15 ottobre, che ha fatto uscire in strada molte persone allarmate. L’epicentro di quelli che vengono definiti «eventi sismici» è stato localizzato nei pressi di Castelvetrano, a pochi chilometri dal centro abitato, anche se abbastanza in profondità. La faglia attiva A muoversi è la faglia del Belice, che da alcuni anni viene studiata e monitorata dai tecnici dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, assieme ai ricercatori delle Università di Palermo, Catania e Napoli. Si tratta di un lavoro certosino di raccolta dati e analisi sul campo che ha l’obiettivo di comprendere il contesto tettonico e geodinamico che rende la zona della Valle del Belice soggetta ai terremoti, tra i quali se ne contano tre particolarmente violenti e distruttivi: quello del 1968 e i due che hanno interessato l’area di Selinunte tra il V-IV secolo avanti Cristo e il IV secolo dopo Cristo. Lo studio è partito dall’analisi di una serie di immagini satellitari acquisite tra il 2003 e il 2010, immagini che mostrano una linea netta che “taglia” una vasta area di territorio tra Castelvetrano e Campobello di Mazara. La seconda fase dello studio è consistita nel rilievo sul campo, lungo l’allineamento mostrato dalle immagini satellitari e, in generale, in tutta la Valle del Belice. Contestualmente s’è fatto un confronto con la rete di inquadramento cartografico dell’Istituto geografico militare misurata nel 1995. Ed è dal confronto tra i dati vecchi e quelli nuovi che è emerso che i capisaldi (ossia i punti del terreno la cui quota è determinata con particolare esattezza), “a cavallo” della linea tra Castelvetrano e Campobello, mostravano differenti velocità di deformazione e, in particolare, era evidente una compressione. Il rilievo di campagna ha poi mostrato, con altrettanta evidenza, l’esistenza di strutture e forme tipiche delle faglie cosiddette «inverse». Le tracce di fratture In particolare sono state rilevate tracce di fratture molto nette che attraversavano una antica strada dell’età del bronzo e muretti, anche recenti, con evidenti deformazioni legate agli effetti di quello che i ricercatori chiamano «stress compressivo». La prova definitiva è stata poi fornita dalle indagini eseguite in mare, al largo di Capo Granitola, laddove la linea evidenziata dal satellite taglia la costa. «Il vantaggio dell’esplorazione geofisica in mare – hanno spiegato i ricercatori – è legato al fatto che, a causa della continua attività di sedimentazione, l’eventuale presenza di faglie attive è facilmente visibile proprio perché vengono dislocati livelli superficiali che, tra l’altro, permettono anche di datare con una certa precisione l’età dei movimenti». Le immagini fornite da questa esplorazione geofisica, secondo gli scienziati, sono chiarissime ed evidenziano «dislocazioni recenti, all’interno delle calcareniti che costituiscono il fondale, molto ampie e riferibili a faglie inverse». Le emissioni di gas Al vertice della linea di faglia che rappresenta la prosecuzione in mare di quella evidenziata a terra, sono state anche osservate intense emissioni di gas, legate proprio alla presenza stessa della frattura, che permette la facile risalita dei gas lungo la sua estensione verticale. Si tratta di «evidenze» che consentono ai ricercatori di affermare che «questo tratto della più lunga e articolata faglia che attraversa la Valle del Belice, presenta dei tassi di movimento piuttosto accentuati ».