Belice, la terra tremerà ancora
TERREMOTI. Studiosi dell’Istituto di geof isica e vulcanologia a convegno a Santa Ninfa prospettano scenari apocalittici
La notte tra il 14 e il 15 g e n n a i o del 1968, un terribile sisma, di magnitudo 6,4, colpì la Valle del Belice, causando gravissimi danni soprattutto a Salaparuta, Poggioreale e Gibellina (epicentro del terremoto), oltre che a Santa Ninfa, Partanna e Salemi. Più di trecento furono i morti, e seicento i feriti. Inizialmente, dato che la zona interessata non era considerata critica dal punto di vista sismico, la situazione fu sottovalutata. Solo quando giunsero i primi soccorsi, ci si rese conto della gravità dell’evento. Davanti agli occhi, infatti, si delineava un paesaggio “apocalittico”. La maggior parte delle case erano state distrutte, la strade erano state come risucchiate dalla terra, tanto che i vari collegamenti con i paesi limitrofi, a più di ventiquattro ore dal sisma, erano ancora impossibili. Ad ormai quasi cinquant’anni dal terribile avvenimento, dobbiamo purtroppo comunicare la notizia che probabilmente un altro terremoto interesserà, di nuovo, il territorio. Nonostante l’elevato numero di vittime, e la devastazione prodotta, l’esperienza del sisma del Belice, non ha “aperto le porte” a studi di ricerca approfonditi, nei decenni successivi, su questa parte della Sicilia occidentale. Finalmente però, negli ultimi anni, un gruppo di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha dato il via ad uno studio multidisciplinare e pluriennale, dal quale è emersa tale notizia. I risultati della ricerca, condotta in collaborazione con le Università di Catania, Palermo e la «Federico II» di Napoli, sono stati resi pubblici durante un convegno, svoltosi al castello di Rampinzeri, a Santa Ninfa, in cui erano presenti, appunto, vari rappresentati dell’Ingv, oltre ad altri esperti locali. Durante tale incontro è stato spiegato come, negli ultimi anni, per sopperire alla mancanza di studi su queste zone, si è cercato di scoprire la cause che hanno portato al terribile terremoto del 1968. Dai rilevamenti attuati tramite un satellite, sull’area interessata, è stata individuata una faglia, profonda circa cinque chilometri, che partendo da Gibellina vecchia, passando per Castelvetrano e Campobello di Mazara, giunge fino al mare. Da tale rilevamento, avvenuto grazie ai potenti mezzi di nuova generazione, è stato possibile inoltre notare che questa faglia è attualmente attiva ed in movimento, quindi prima o poi rilascerà di nuovo energia, che porterà dunque ad un nuovo sisma. Sempre da questo studio, è inoltre emerso che è stata proprio questa faglia a generare i due terremoti che hanno quasi completamente distrutto Selinunte. A differenza di ciò che si pensa, cioè che l’antica colonia greca fosse stata distrutta, nel 409 a.C, dai Cartaginesi, in realtà a causarne la rovina fu, prima un terremoto intorno al 330 a. C, ed un altro, molto più potente, durante il IV secolo d. C. Naturalmente tale notizia, da un lato potrebbe creare degli allarmismi, perché anche se sappiamo che una zona verrà colpita da un terremoto (è questa è già di per sé una brutta novella), non possiamo prevedere quando questo avverrà. Dall’altro lato però, esserne venuti a conoscenza, è estremamente importante non solo per il futuro del territorio, ma soprattutto per l’incolumità. Suona strano invece che quasi nessuno se ne sia interessato (mancavano praticamente tutti gli amministratori del Belice tranne quelli di Santa Ninfa, con il sindaco che ha fatto gli onori di casa per i saluti). Nessuno potrà infatti dire «Non ne eravamo a conoscenza». Davanti una notizia del genere, molte possono essere le precauzioni da prendere, per le costruzioni future e non solo. Enrico Caruso, direttore del Parco archeologico di Selinunte, presente anch’egli al convegno, ha confermato l’importanza di tale studio, soprattutto per il restauro dei templi, e tutto ciò che riguarda la loro staticità; per non parlare poi dei piani paesistici e regolatori. Un terremoto, di per sé potrebbe anche non provocare danni eccessivi, e vittime, se si costruisse seguendo le norme antisismiche. Norme che si possono basare o sull’aumento della “robustezza” dell’edificio, cioè la sua capacità di resistere alle forze sismiche (sebbene con danni alla struttura e ai suoi interni durante i terremoti più violenti), oppure con strategie più moderne, come l’isolamento sismico. Valentina Mirto