Belice, 50 anni fa di Tanino Rizzuto
Il dopo-terremoto ha ucciso più del terremoto: in tre mesi nelle tende morte 459 persone. Tre mesi dopo quel 15 gennaio 1968 nei paesi della Valle del Belice era ancora emergenza. A migliaia vivevamo nelle tende e le baracche non arrivavano. Ritardi su ritardi. Sfogliando i ricordi di quel mese di aprile 1968 c’è una immagine forte che emerge. Il rigido inverno in tenda aveva ucciso più del terremoto. Un dato sconvolgente, 739 morti: sotto le macerie, in tutta la Valle, erano scomparse 280 persone; nelle tende sono morte 459 persone, in gran parte anziani, per bronchiti, polmoniti, assideramento. Per mesi il terremoto ha continuato, implacabile, ad uccidere mentre la mafia metteva le mani sui terreni dove dovevano nascere le baraccopoli. A questi 739 morti per causa del terremoto vanno aggiunte altre 401 persone ufficialmente scomparse per vecchiaia. In quei primi tre mesi la Valle del Belice aveva così perso 1.140 suoi cittadini oltre alle migliaia di terremotati che, col biglietto di solo andata, erano stati costretti ad emigrare al Nord, in Germania o in America. Si stava attuando un tragico progetto di desertificazione che ha poi portato, nel corso dei decenni successivi, all’attuale spopolamento dei paesi. In quell’aprile del 1968 la Valle del Belice da Montevago a Gibellina, da Salaparuta a Salemi era tutta un’unica tendopoli. Pochissime le casette di legno. Nelle tende la vita era impossibile. Una trentina di tendopoli: migliaia di tende, migliaia di famiglie. In alcune tende, quelle più grandi, erano ammassate anche tre famiglie. Gibellina era smembrata, la popolazione sparpagliata. Quando si decise dove far nascere le baraccopoli questo smembramento si accentuò ancora di più. Una baraccopoli – la chiamarono «Villaggio» – sorse in contrada Rampinzeri, a sette chilometri dal paese distrutto (qui nel vecchio cimitero c’erano i morti da piangere) e a ben 16 chilometri di distanza dalla maggior parte delle aziende agricole. Il secondo «villaggio», più piccolo, stava per nascere in contrada Madonna delle Grazie, a un chilometro da Gibellina vecchia. I terremotati di Poggioreale e Salaparuta erano stati allontanati dai paesi-macerie e “vivevano” nella tendopoli di Castelvetrano in attesa delle baracche. A Santa Ninfa erano in più di mille nelle tende; a Partanna in 3.500; a Salemi oltre mille famiglie. A Montevago mille in tenda, gli altri “deportati” tra Sciacca ed Agrigento; a Santa Margherita Belice cinquemila in tenda, ma più di duemila erano emigrati col biglietto del treno gratuito. In questa situazione si moriva di freddo e di malattie polmonari. A Partanna 14 morti sotto le macerie, 24 nelle tende, altri 29 per malattie: 67 morti in tre mesi! A Salemi 5 morti sotto le macerie, 48 nelle tende e 34 per malattie: 88 morti in 90 giorni. Nella grande tendopoli alla periferia di Castelvetrano dove erano stati ospitati gli abitanti di Gibellina, Poggioreale e Salaparuta sono morte 158 persone. Sì, il dopo terremoto ha ucciso più del terremoto. (Nella foto la tendopoli di Castelvetrano che ospitava i terremotati di Gibellina e Salaparuta)