10 luglio 1968: a Palermo in 15mila, caricati dalla polizia
Luglio 1968, è un inferno nelle tende e nelle baracche (ancora poche) della Valle del Belice. Si muore di caldo. Esplode, in pochi giorni, la rabbia e la protesta: vecchi, bambini, don-ne, ragazzi, contadini ci mettiamo in marcia verso Palermo. È il 10 luglio, una giornata memorabile. È la «Marcia dei dimenticati».
In 15mila arriviamo in piazza In-dipendenza, davanti a Palazzo d’Orleans, con ogni mezzo: ca-mion, treni, autobus, auto, trattori, moto. In testa al corteo tutti i sindaci con le fasce tricolori, i co-mitati, i parlamentari. Ricordo i sindaci di Santa Ninfa, Bellafiore; di Salemi, Grillo; di Partanna, Pe-tralia. C’è subito tensione in piazza. I palermitani solidarizzano con noi terremotati. La Regione quel giorno doveva, dopo sei me-si, approvare la legge per il terremoto e stanziare 30 miliardi.
A Palermo arriviamo decisi e con richieste precise: ricoveri per to-gliere la gente dalle tende; dare più poteri ai sindaci per la ricostruzione; espropriare le aree per le attività artigianali e commerciali; avviare i lavori dell’autostrada Mazara-Palermo, iniziando da Mazara; creare lavoro per fermare l’emigrazione; costruire le stalle; demolire gli edifici pericolanti; esentare la popolazione dalle tasse per due anni.
C’è un caldo afoso. L’attesa si fa snervante. L’Assemblea regionale tarda a riunirsi. Quel giorno «L’ora» pubblica un dossier intitolato «Nell’inferno dei terremotati», il dramma in cifre, un’inchiesta Comune per Comune.
Nel tardo pomeriggio l’Ars non si riunisce ancora, la protesta cresce. Siamo circondanti da tre cordoni di polizia. Dopo un po’, al-l’improvviso, la polizia del ministro palermitano Restivo carica la folla inerme dei terremotati. Mez-z’ora di cariche con bombe lacrimogene. Ci sono diversi feriti. Viene percossa brutalmente, da quattro agenti, anche una giovane mamma con la bimba in braccio. Una carica disumana. È la mezzora della vergogna. I poliziotti dan-no la caccia ai terremotati per le vie del centro di Palermo mentre l’Ars inizia, finalmente, a discutere la legge.
«Selvaggiamente» titola l’indomani, a tutta pagina, il giornale «L’ora». «Ma ce l’hanno fatta: la “loro” legge approvata dall’Ars» all’una di notte, dopo un drammatico dibattito. Una legge conquistata dal popolo del Belice.
Lasciamo Palermo, di notte, con un corteo civile, e torniamo nelle tende e nelle baracche. Lungo il viaggio raccolgo alcune testimonianze. Eccole.
Il sindaco di Salemi, Antonino Grillo: «È grave che questa legge sia nata sotto il segno della violenza». Il senatore Ludovico Cor-rao: «Neppure i peggiori banditi della peggiore storia siciliana hanno mai toccato le donne e i bambini come hanno fatto i poliziotti del palermitano ministro Restivo».
E un combattivo coltivatore di Sa-lemi, Filippo Baudanza accusa: «Ci volevano intimidire con le bombe e con i mitra, ma noi andiamo avanti. Ci batteremo fi-no a quando i nostri paesi e la nostra agricoltura risorgeranno».
Quel 10 luglio 1968 resta ancora oggi, 50 anni dopo, scolpito nella memoria della gente del Belice. Gli anziani lo ricordano e lo raccontano per non dimenticare. (Nella foto, una anziana nelle baracche di lamiera di Salemi)
Tanino Rizzuto